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giovedì 22 marzo 2012

Il Film Consigliato del giorno: CELLA 211 di Daniele Monzon


TRAMA

Juan Olivier e' un secondino al suo primo giorno di lavoro.
 Per un errore grossolano viene lasciato dentro la cella 211 proprio mentre scoppia una rivolta all'interno del carcere. Per sopravvivere Juan dovra' far finta di essere un prigioniero....


RECENSIONE

Negli anni molti sono stati i film che hanno messo al centro del racconto il "mondo" carcerario; si passa senza soluzione di continuità da classici come Fuga da Alcatraz, Papillon, Brubaker, Le Ali della Libertà a veri e propri filmacci come Sorvegliato Speciale con Stallone.
 Era difficile quindi mettere in scena una storia ambientata in carcere che avesse dalla sua originalita' e soprattutto solidita' di narrazione e che non ricordasse troppo i "precedenti" appena citati.
Il giovane regista Daniele Monzon - con alle spalle al suo attivo solo un buon thriller in salsa sci-fi , "The Kovak Box" , distrubuto da noi solo in dvd - adatta - anche come sceneggiatore - un bel romanzo di Francisco Perez Gandul e riesce nell'arduo compito di girare un film carcerario solido, politcamente tosto e con tanti punti a suo favore.
Sin dalle prime battute si nota la perfezione della fotografia - di Carles Gusi -, l'efficacia dei dialoghi, mai lambiccati e sempre realistici e la tecnica precisa di Monzon nello studio dell'inquadratura.
Impossibile poi resistere alla tensione che la pellicola lentamente crea attorno al suo personaggio principale ed al capo della rivolta interna del penitenziario, Malamadre - un eccelso Luis Tosar che lo interpreta con forza e senza una minima sbavatura - un carattere che difficilmente verra' dimenticato e che entra di diritto nella storia del genere.
 Monzon poi gira perfettamente, alternando un montaggio semi-realistico a sequenze piene zeppe di ricerca visiva e non lesina critche feroci alle forze dell'ordine - estrene ed interne al carcere - buone solo a reprimere ed a picchiare senza ritegno, ai politici che sprecano chiacchere ma che si muovono solo quando sono con l'acqua alla gola ed esclusivamente per il proprio tornaconto.
Ai venduti dello stato, ai mercenari della violenza allora Monzon preferisce i derelitti del carcere, cattivi si, violenti si, ma con un animo ben definito, nei quali però non può che germogliare la pianta del tradimento che porterà la giusta rivolta dei prigionieri - che non ne possono più di essere rinchiusi in un metro per due e che cercano di ottenere solo una vita meno da animali... - fino alla tragedia finale che si abbatterà su tutto e tutti.
 Impossibile poi non entrare nella testa di Juan - un eccellente Alberto Ammann - che per sbaglio si trova a dover fiancheggiare chi nella realtà avrebbe dovuto controllare e che lentamente trova, proprio in questi "compagni" di rivolta,  persone pronte a capirlo e difenderlo.
Un personaggio quello di Juan che riflette il mondo in cui viviamo: un essere umano usato, spremuto e buttato via dalle "istituzioni" quando più non serve o quando addirittura non diviene un ostacolo al raggiungimento di piani pre-costruiti per le istituzioni stesse.

Per il regista il mondo carcerario è identico a quello esterno, viviamo in una gabbia, repressi e senza neanche avere la forza di ribellarci - o quando questo avviene il sistema di "repressione" è il solito all'interno della galera come fuori -, contenti di credere di essere liberi quando nella realta' dei fatti non lo siamo.
 Il male è attorno a noi, si sta diffondendo e porta una divisa od un completo firmato.

Testo di Federico Frusciante

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